Alla fine sono convinto di aver fatto la scelta giusta non recensendo S.T.A.L.K.E.R. 2: Heart of Chornobyl al day one con il codice (pieno zeppo di bug) per Xbox Series X ricevuto il 13 novembre da GSC Game World. Ne ho parlato qui la scorsa settimana, augurandomi che le patch già annunciate dal team ucraino avrebbero, se non risolto tutti i problemi, quantomeno permesso di giocare a livelli di pulizia e stabilità accettabili. Così, per fortuna, è stato e ora S.T.A.L.K.E.R. 2: Heart of Chornobyl, seppur ancora bisognoso di altri aggiornamenti soprattutto su console (su PC ci stanno già pensando i modder), è migliorato tantissimo dalla build iniziale con cui ho trascorso una settimana tra incredulità, nervosismo ma anche comprensione, considerando a cosa è andata incontro GSC Game World in tutti questi anni di sviluppo.
Questi giorni in più mi hanno tra l'altro permesso di portare a termine molte delle quest secondarie che avevo trascurato prima, facendomi raggiungere una longevità totale di 29 ore pur senza aver visto il 100% (ma ci sono molto vicino) di quello che ha da offrire il gioco. Ho giocato quasi sempre a livello Facile e, se vi sembra un compromesso al ribasso, ho trovato questo livello di sfida perfetto per non risentire troppo delle varie asperità del gameplay che fanno di S.T.A.L.K.E.R. 2: Heart of Chornobyl un'esperienza non del tutto al passo con i tempi.
Benvenuti (si fa per dire) nella Zona
Tra l'altro, il livello Facile pensato da GSC Game World equivale in tutto e per tutto a uno Normale di un qualsiasi altro gioco odierno e, non a caso, in 29 ore il mio conteggio di morti ha superato abbondantemente quota 100, giusto per far capire che anche a Facile l'esplorazione di queste lande desolate e deprimenti è tutt'altro che una passeggiata di piacere (ma trattandosi di S.T.A.L.K.E.R., non mi aspettavo nulla di diverso).
Partirei proprio dall'ambientazione per descrivere uno dei principali pregi del gioco. In realtà, alcuni potrebbero trovarlo un elemento negativo, ma la Zona di esclusione di Chornobyl, una versione immaginaria della città ucraina nota per il disastro nucleare degli anni '80, è una macro-location estremamente affascinante, cupa, deprimete e colma di disperazione, squallore e solitudine. Vegetazione brulla, pioggia quasi perenne, tempeste di radiazioni mortali, paludi, rari squarci di sole, grandi edifici abbandonati, pochissimi insediamenti umani (tra l'altro con una presenza femminile quasi inesistente), sotterranei e bunker immersi nell'oscurità, caverne dove si nasconde chissà cosa, intere zone coperte di rifiuti, corsi d'acqua radioattivi e via di questo passo.
La parola "allegria" è completamente bandita dall'immaginario di S.T.A.L.K.E.R. 2: Heart of Chornobyl e questo, se da un lato riprende la scia dei tre giochi precedenti, dall'altro può diventare anche un limite, con una mappa sì vasta ma quasi sempre uguale e con un mood deprimente (ancora più di quello di Metro 2033 e di Chernobylite) che mi ha accompagnato per tutte le sessioni di gioco. Una sensazione, come già detto, che si ama o si odia senza mezzi termini e che personalmente, proprio perché conoscevo già l'ambientazione della serie, ho amato, pur riconoscendo un'estrema monotonia "paesaggistica" e un fortissimo riciclo di asset nelle ambientazioni interne, anch'esse lugubri, squallide e tristi come poche.
Sopravvivenza radioattiva
In questo mondo al limite del vivibile, siamo chiamati nei panni dello stalker-mercenario Skif sia a sopravvivere (e già questa è un'impresa non da poco), sia a venire a capo di un mistero che riguarda una misteriosa organizzazione scientifica e che, nel prologo del gioco, ci ha condotti a un passo dalla morte. In mezzo alla sceneggiatura principale, fatta principalmente di ricerche di persone in grado di aiutarci a risolvere questa ingarbugliata rete di informazioni, S.T.A.L.K.E.R. 2: Heart of Chornobyl propone anche varie fazioni con cui scontrarsi o accordarsi, tantissime quest secondarie (in genere molto meno "stupide" di quelle di molti open-world odierni), un numero ancora più elevato di bottini nascosti da trovare e un gameplay incentrato essenzialmente su tre pilastri: survival, combattimento ed esplorazione.
Il primo, che è anche quello che risulterà più ostico per i neofiti della serie, permea un po' tutta l'esperienza del gioco. Mangiare, dormire, curarsi (soprattutto dal sanguinamento quasi perenne), trovare riparo durante le tempeste radioattive (pena morte certa), essere assaliti all'improvviso da creature mutanti, trovarsi da un metro all'altro in una zona altamente radioattiva, ferirsi e iniziare a sanguinare semplicemente toccando un filo spinato, finire in un'anomalia per una semplice distrazione, avere sempre a disposizione una scorta sufficiente di proiettili, o riparare le armi (che possono incepparsi con esiti anche mortali).
In un mondo simile dove la vita è così precaria, il loot diventa fondamentale e infatti S.T.A.L.K.E.R. 2: Heart of Chornobyl ne offre a iosa. C'è un però. Scordatevi di girare per la Zona carichi come dei muli: Skif può portare solo un certo tot di peso nell'inventario e, più roba si trasporta, più si diventa lenti negli spostamenti e meno dura la stamina (e più lentamente si ricarica).
L'arte di camminare
Considerando che non esistono "cavalcature" o altri mezzi di spostamento se non le nostre gambe, essere agili e veloci ma al tempo stesso avere sempre con sé il quantitativo necessario di armi, munizioni, medikit e altri oggetti essenziali per la sopravvivenza è la sfida principale del gioco. Che da un lato ho apprezzato (si inserisce perfettamente in una concezione di survival game senza compromessi), ma che dall'altro sono arrivato spesso a odiare.
Contando infatti i pochissimi punti di viaggio rapido dove si può chiedere a una guida (e a caro prezzo) di portarci direttamente in un altro insediamento, il gioco non offre alcun altro metodo di spostamento rapido, anche là dove (si pensi solo alle barche per attraversare un corso d'acqua) sarebbe stato possibile inserirlo senza tradire il realismo del gameplay. Come conseguenza, ci si devono sorbire continue camminate anche di minuti (Skif si stanca molto presto di correre) e, se nelle prime ore la cosa è anche sopportabile, più si procede nel gioco, più diventa pesante e stancante.
Ammetto candidamente di aver rinunciato a raggiungere un punto di interesse perché non ne potevo più di camminare-correre, o di non aver raccolto oggetti o armi di valore per poi rivenderli perché il mercante più vicino era a dieci minuti di cammino e, con un inventario appesantito da questo loot, il tragitto sarebbe stato ancora più lento e sfiancante. Capisco benissimo che questa impostazione è fedele al concetto di survival (più ci si muove all'esterno, più si corrono pericoli), ma è un aspetto che ho sofferto molto e la monotonia del paesaggio non aiuta di certo a distrarsi.
Skif il masochista
D'altronde, tutto in S.T.A.L.K.E.R. 2: Heart of Chornobyl è un'esperienza perennemente ai limiti dello snervante. Si muore tantissimo (erano forse anni che in un gioco non salvavo compulsivamente ogni 3-4 minuti), i combattimenti contro umani e mostri non perdonano nulla (non odiavo così tanto dei cani in un videogioco dai tempi di Resident Evil), si deve fare molta attenzione alle spese (i soldi sono pochi e i tantissimi potenziamenti-riparazioni delle armi non costano poco) e, sinceramente, non immagino lo stato delle mie coronarie se avessi giocato 29 ore al terzo livello di difficoltà, quello più alto.
Questo però, in un approccio un po' masochistico, è anche il bello del gioco. Sentirsi perennemente soli in un mondo vasto e pieno zeppo di pericoli, tirare un sospiro di sollievo non appena si scopre un insediamento umano (sperando ovviamente che non si tratti di nemici), tentare sempre gli headshot contro gli umani per non sprecare colpi, esplorare un bunker immerso nel buio circondati da versi belluini (ci sono anche gli zombi!), scappare da un attacco di mutanti mentre si sta sanguinando e si è quasi finita la scorta di bende, o perdere preziosi secondi per ricaricare un fucile a pompa quando si ha di fronte un mostro simil-invisibile di una cattiveria indescrivibile.
Da amante dei survival e dei giochi horror in generale, generi che qui acquisiscono però anche una forte connotazione di libertà nell'approccio ai nemici e un'assenza totale di moralità (potete uccidere diversi PNG senza che ci siano conseguenze), non posso non apprezzare S.T.A.L.K.E.R. 2: Heart of Chornobyl per questo suo approccio così "elitario" che, però, inimicherà sicuramente un'ampia fetta di giocatori, magari del tutto ignari dei tre capitoli precedenti della serie e abituati a ben altro al giorno d'oggi a livello di ritmo e "quality of life". Anche perché, nonostante gli ultimi aggiornamenti, il gioco soffre ancora di alcuni difetti difficili da mandare giù.
Imperfezione tecnica
Degli spostamenti e della monotonia della mappa ho già detto, ma ci sono altri difetti degni di nota. La trama, per esempio, mi ha preso pochissimo, anche per colpa di PNG poco carismatici (nessuno mi ha lasciato davvero qualcosa), che anche per demeriti grafici sembrano semplici marionette senza anima, molto spesso immobili e con volti completamente inespressivi. L'intelligenza nemica degli umani è inoltre deficitaria. Ancora adesso, dopo le varie patch, capita di entrare in un avamposto e di vedere i nemici immobili a fissare il muro anche quando si inizia a sparare. Altre volte sono stato colpito (non da un cecchino) a decine di metri di distanza anche se stavo acquattato in silenzio nel buio più totale e senza fare il minimo rumore. Si passa insomma da un eccesso all'altro e, per un gioco simile, non è un limite da poco.
Rimangono poi ancora diversi problemi nella gestione della fisica degli oggetti, nelle hitbox dei nemici e nella stabilità del frame-rate se si gioca a 60 fps in modalità Prestazioni (mi riferisco alla versione per Xbox Series X). Per fortuna, non ho più riscontrato gli odiosi bug della prima build che impedivano di portare a termine diverse missioni, per non parlare dei glitch grafici ai limiti del comico, ma c'è ancora parecchio da fare a livello di bug, mentre dubito che prossimi aggiornamenti porteranno a chissà quali miglioramenti grafici, anche perché parliamo di un gioco molto dipendente dalla CPU che proprio su Xbox Series X fatica parecchio su questo versante.
Sulla console ammiraglia di Microsoft, infatti, S.T.A.L.K.E.R. 2: Heart of Chornobyl è un gioco con alti e bassi che, se da un lato mostra molto raramente di cosa sia capace un motore come Unreal Engine 5 e delude anche a livello di animazioni, vegetazione e modelli poligonali (soprattutto quelli dei mostri), dall'altro sa anche affascinare grazie al suo sistema di illuminazione, all'efficace ciclo giorno-notte e a tutta una serie di chicche tra riflessi ed elementi volumetrici che fanno la loro indubbia figura.
Non mi esprimo invece sulla versione PC che non ho potuto provare e che, tra le tantissime mod già uscite, sarà sicuramente migliorata rispetto al day one, ma su Xbox Series X non aspettatevi un titolo "spaccamascella" nemmeno nella modalità Qualità a 30 fps, che però ho solo provato a tratti perché in giochi simili sono ormai troppo abituato ai 60 fps (seppur instabili). Anche in questo caso comunque, rispetto alla prima build, il colpo d'occhio generale è decisamente migliorato, seppur rimanga quella sensazione di incompletezza e "precarietà" che, volenti o nolenti, pervade tutto il gioco.
È una delle decisioni videoludiche più difficili che ho dovuto prendere quest'anno, ma alla fine non me la sono sentita di dare di più a un gioco sì affascinante e quasi unico nell'odierno panorama videoludico (anche per le condizioni drammatiche del suo sviluppo), ma oggettivamente imperfetto e, nonostante le patch già uscite, ancora bisognoso di aggiustamenti. S.T.A.L.K.E.R. 2: Heart of Chornobyl è infatti un'esperienza scostante, quasi "antipatica", non per tutti e per certi versi superata, ma al tempo stesso ti rimane attaccato alla pelle come pochi altri survival lanciati negli ultimi anni: era da tempo che il concetto di sopravvivenza in un videogioco non emergeva con esiti così significativi, con tutti i pro e i contro che ciò comporta.